La Repubblica – Sepino, la capitale dell’accoglienza: “Così integriamo i migranti nel nostro territorio”

Fonte: La Repubblica

Campobasso è a mezz’ora di macchina. Eppure, la distanza di questo borgo rintanato sull’Appennino molisano sembra molta di più. Non è un caso che qui, da più di 100 anni, si celebri la “Festa dell’Emigrante”. Se ne sono andati in tanti negli ultimi decenni. Qualcuno torna, in estate, per la festa della patrona. Ma lo spopolamento è una ferita profonda. Forse per questo Sepino sa accogliere. Ha conservato la memoria delle sue partenze. E ha costruito una casa capace di ospitare chi arriva, con calore e competenza. Il comune di Sepino aderisce al sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati del Ministero dell’interno, il SAI. Ogni tre anni ne assegna la gestione attraverso un bando. Nel 2019 la gara è stata vinta da Arci Mediterraneo, Aps Eventi Sociali ed Arci Pescara. Tre enti privati impegnati da sempre in progetti di integrazione.

Valeria Auricchio, di Arci Mediterraneo racconta di un programma speciale a cominciare dal luogo che lo ospita. Per prima cosa il centro Sai di Sepino è bello oltre che funzionale. Questo significa tanto, perché la bellezza riconosce rispetto e dignità a chi è segnato da guerre e sofferenze di ogni tipo.

Com’e questa struttura?

È immersa nel verde e d’inverno diventa suggestiva in mezzo alla neve. Ci sono 7 camere da letto, una cucina professionale, 12 bagni, un’aula per il corso d’italiano e una palestra. L’ufficio è al suo interno, quindi gli operatori vivono praticamente con i ragazzi per buona parte del giorno. C’è anche uno spazio per la preghiera, vista l’assenza di moschee nei dintorni.

Quante persone ospita?

Ha una capienza di 25 posti dedicati a uomini singoli. Ad oggi ci sono 20 ragazzi proveniente dal Mali, Pakistan, Bangladesh, Nigeria, Gambia, Palestina, Niger e Costa d’Avorio.

Che tipo di assistenza ricevono qui?

Tutta l’assistenza di cui hanno bisogno: le cure sanitarie, il supporto legale e una formazione che possa renderli autonomi e pronti ad affrontare il mondo del lavoro. Il SAI (ex SPRAR ex SIPROIMI) rappresenta la nuova frontiera dell’accoglienza ai migranti, specie quelli che hanno richiesto asilo politico. La novità è che permette all’accoglienza di uscire dalla dimensione volontaristica-privatistica per entrare in quella pubblica ed organizzata. Significa che lo Stato si assume per la prima volta la responsabilità di gestire il flusso dei migranti.

Qual è l’obiettivo?

Gli obiettivi principali sono due: garantire misure di assistenza e di protezione della singola persona e favorirne il percorso verso la (ri)conquista dell’autonomia. Per noi è importante l’apprendimento della lingua italiana, fondamentale per l’integrazione nel tessuto sociale che li accoglie. Con il supporto dell’équipe multidisciplinare, i ragazzi diventano protagonisti del loro percorso e vedono nel Progetto SAI l’occasione di un nuovo inizio, un nuovo futuro. A noi piace considerarci la “famiglia” italiana degli accolti, un punto di riferimento per qualsiasi cosa e un luogo dove tornare anche quando le strade si separano.

Sepino, lo spettacolo della natura fuori dal centro abitato

La storia di uno di loro?

Scegliere solo una storia è difficile, ma c’è M. K., un ragazzo nigeriano che ha 23 anni. È arrivato nel progetto, si è impegnato e ha conseguito la licenza media, ha studiato come pizzaiolo. Tutti in paese lo conoscono perché è un artista a 360 gradi. Dipinge, canta, si è esibito dal vivo ed ha un canale suo su YouTube. Poi c’è H. M., 39 anni, ha la cittadinanza palestinese, ma è nato e cresciuto a Tripoli in Libano trascorrendo la sua vita in un campo per rifugiati palestinesi insieme alla sua famiglia. Decide di lasciare il Libano in quanto vittima di violenze e soprusi da parte delle milizie libanesi che presidiavano il campo. C’è Y. S., gambiano di anni 23, orfano di entrambi i genitori e figlio unico, è fuggito dal suo paese in quanto maltrattato e discriminato dalla famiglia materna per motivi religiosi. Nel progetto ha la possibilità di realizzare i suoi sogni. Studia all’Alberghiero e gioca a calcio a livello agonistico.

Ci sono stati problemi di ostilità in paese?

Il primo impatto è stato di diffidenza. La popolazione di Sepino è prevalentemente anziana e ci sono pregiudizi radicati in una cultura tradizionalista. Non è facile accettare persone straniere, culture e religioni diverse.

E adesso cosa rappresentano questi nuovi residenti per la comunità?

Con il tempo la loro presenza è stata apprezzata. Durante lo scorso lockdown un ex beneficiario, sarto della costa d’Avorio, ha cucito mascherine da distribuire nell’intero territorio. Un altro obiettivo del progetto è quello di supportare le piccole attività locali che nel tempo, conoscendo i migranti, si sono “adattate”, in termini di disponibilità di prodotti, alle esigenze di culture diverse. Un esempio: il riso basmati prima era difficilmente reperibile. Ora invece, visto l’aumento della domanda, non manca neppure in un piccolo paese come questo e i ragazzi non devono più spostarsi per andare a comprarlo in città.

Come immagina Sepino tra 10 anni?

Sepino è un borgo bellissimo, molto caratteristico, ma che offre poche opportunità lavorative. Come vanno via i giovani del posto, così lo lasceranno anche i beneficiari in uscita dal progetto che sono in cerca di lavoro. Molti di loro sognano le grandi città o altri paesi d’Europa. Quindi non immagino Sepino molto diverso da come è ora, ma questo progetto lo avrà reso un paese ancora più solidale e aperto verso l’altro.

Fonte:
La Repubblica